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Onu, Una Sfilata Per La Pace

 Jamal Taslaq è emozionato quando sale sul palco dove ha appena presentato la sua collezione. Non si tratta di una passerella qualunque: si trova nell’aula dell’Ecosoc, il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, dove si tengono i più importanti incontri istituzionali fra Stati, e Taslaq è il primo stilista in arrivo dall'Italia a sfilare nel Palazzo di Vetro. L’occasione è stata la celebrazione per l’anno della solidarietà per il popolo palestinese, decretato nel 2013 dall’Assemblea Generale. Taslaq, infatti, non è italiano di nascita: è palestinese di Nablus, in Cisgiordania, ma si è trasferito in Italia nel 1990 ed è diventato cittadino italiano due anni fa anche se, spiega, «per la stampa italiana ero un connazionale prima ancora di prendere la cittadinanza». Fra i 45 look che ha presentato, molti erano ispirati alla tradizione del suo Paese d'origine, con un abito da sposa creato in due mesi e mezzo a fare da gran finale. Nel suo atelier di Via Ludovisi a Roma, dove si è trasferito dopo aver studiato all’Accademia Italiana Moda a Firenze, lo stilista di solito veste celebrità come Sharon Stone, Ornella Muti e la regina giordana Rania. Il successo Taslaq lo ha raggiunto nel 2000, quando ha cominciato a presentare le sue collezioni ad AltaRomaAltaModa. È dunque in questa occasione che D.it ha incontrato lo stilista per parlare della sua vita, del suo lavoro, della sfilata al Palazzo di Vetro e del suo amore per l’Italia.


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Come sei entrato nel mondo della moda?
Quando avevo 10 o 11 anni, vedendo mia madre che comprava i tessuti e si cuciva da sola gli abiti, avevo capito di amare quel mondo. Quando avevo 18 anni poi ho deciso che il mio futuro era nella moda: subito ho pensato all’Italia e al Made in Italy, oppure alla Francia. Ma il termine Made in Italy mi ha sempre stregato, era la chiave per arrivare in Italia.

Tu ti senti italiano?
Molto. Quando sono arrivato a 18 anni in Italia, può darsi per il mio carattere o per il mio modo di fare, non mi sono mai sentito straniero. Addirittura la stampa mi scambiava per un italiano! Sono arrivato col visto da studente: è stato bello, emozionante e anche difficile, e secondo me è questo quello che mi ha fatto andare avanti; lo dico perché sono innamorato di Roma e di tutta l'Italia: mi sembra di vivere in un museo. È una città piena di emozioni e di storie, va scoperta un giorno dopo l’altro. La sento viva.

Quando si parla di moda si pensa a Milano, non a Roma. Perché quindi questa scelta?
Ho scelto Roma per l’alta moda: anche Valentino ha qui il suo atelier. È una città che offre molto: ci sono ricamatrici, ottime sarte, bei materiali. Io vengo da una cultura un po’ classica, dal Medioriente, per me è facile apprezzare e capire tutto questo. Ho compreso presto che l’alta moda sarebbe stata il mio futuro perché amo tutto quello che viene creato "con le mani": sono cose che restano nel tempo e nella storia.

All’Onu ti hanno definito il “nuovo Valentino”. Che vuol dire per te? Cosa ne pensi?
Per me è un onore: molti giornalisti e anche tanti clienti hanno notato i tagli, la morbidezza, il modo in cui uso il tessuto, creando capi molto femminili che accarezzano il corpo. Spesso tanti mi dicono che certi capi sono belli solo sulle modelle, non sulle clienti normali. Non è vero, anche perché se dovessimo contare sulle modelle per vendere vestiti moriremmo di fame! Invece la mia fortuna, quando una cliente acquista un mio pezzo, è in genere ci sono poche modifiche da fare per adattarlo al loro fisico e al loro carattere: e sono proprio queste clienti, soddisfatte, che me ne portano altre.

Cosa significa per te il Made in Italy?
Mi ricordo di mio padre che, quando ero solo un bambino, mi ripeteva che il Made in Italy era una garanzia per tutto, dalle scarpe al marmo. Erano gli anni '70, e quella lezione mi è rimasta impressa: ora anche io rappresento quella eccellenza, e lo faccio a Roma, nel mio atelier, esportando i miei abiti in tutto il mondo. È un grande onore esserne parte.

Com'è stato sfilare all’Onu?
Ancora, è stato un grande onore. Ho voluto rendere omaggio alla Palestina, ai ricami simbolo della sua tradizione. Sono stati realizzati tutti qui in Italia, e mi fa piacere aver notato un grande interesse anche da parte della clientela italiana, sempre attenta al bello: dietro certi pezzi ci sono una grande storia e una grande cultura. L'abito da sposa, per esempio, è stato decorato anche con perline di legno d'ulivo che ho raccolto io stesso in Palestina: un simbolo di pace per la cristianità, i musulmani e gli ebrei. Un'ultima cosa: vorrei ringraziare l’Italia. Tanti scappano per cercare fortuna all’estero, ma secondo me dovebbero credere di più nella loro terra e darsi da fare. Il sogno è qui vicino, sta a noi raggiungerlo.

 

Published on D Repubblica, Dec. 4, 2014